Жан-Клод МАРКАДЭ МАЛЕВИЧ (PARIS-KIEV, 2012) МОНОГРАФИЯ/ГЛАВА XXII СУПРЕМАТИЧЕСКИЙ ДИЗАЙН
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Esso consentirà quanto meno di porre fine allo spirito di parrocchia a causa del quale noi ci accorgiamo
solo di una minima particella del grandioso patrimonio estetico nel concerto dell’arte mediterranea dove a
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ogni esecutore è affidata una parte.́ Niente è certamente più penoso della constatazione che un artista
possa non essere “francese” purché sia considerato “parigino”, come fu per Brancusi, Chagall, Charchoune, Modigliani, Picasso, de Staël, Soutine, Vieira da Silva e persino Zao Wou-Ki.
̀ Se non si considera la vera statura di ogni artista, si rischia fatalmente di ridurre a poca cosa l’entità
globale di un’eredità culturale molto complessa. Se, al contrario, esaminiamo attentamente ogni anello di quella catena che continua all’infinito nel tempo, arriveremo allora a ricostruire la filiaz̀ione dell’ispirazione artistica, nella sua coerenza attraverso epoche successive. La continuità dello sviluppo degli stili espressivi, che è alla base stessa di una tradizione pittorica, consente di individuare i legami
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interni che uniscono gli artisti di culture molto diverse. Tutto ciò trova ampiamente conferma nell’opera di
Vittorio Matino nella quale si individua un’evidente parentela con i pittori nati dall’avanguardia russa del XX secolo come, citando a caso, Lioubov Popova, Alexandra Exter, Mark Rothko, fino ad Arshile Gorky… Il termine “parentela” non è troppo forte in quanto questo strano incrocio di concetti estetici ha probabilmente attinto la sua ispirazione da una sorgente comune, quella dell’arte bizantina. In effetti, le rutilanti basiliche di Ravenna, Venezia, Siena, Roma, e le antiche abbazie hanno tutte conservato intatta l’ineguagliabile bellezza dei loro mosaici. Ed esse sono attualmente un riferimento per i pittori di tutto il mondo. Nel suo saggio filosofico Il nuovo Medio Evo1, Nicolas Berdiaev sostiene l’urgenza di ritrovare
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e caduco, ma si può tornare a ciò che, del passato, è eterno”.
E dove possiamo, d’altronde, incontrare un autentico valore di bellezza eterna se non a Venezia? In quale altra città i volumi monumentali degli edifici urbani hanno le proporzioni di quelli di Venezia? E\ nella regione di questa ammaliante città, nella provincia di Vicenza, che Vittorio Matino ha vissuto dall’età di cinque anni e vi ha trascorso tutta l’adolescenza. Ed è sempre lı̀ che il suo sguardo, per anni, ha captato il gioco della luce diffusa, dell’acqua tranquilla sotto un manto trasparente di madreperla. E\ questa la luce che si distingue subito nei dipinti di questo pittore astratto italiano.
Un pensatore russo del XX secolo, Troubetzkoı̀,̈ constatava che “noi non percepiamo nello stesso modo i colori dello spet̀tro. Per esempio, nell’antichità i greci definivano il colore del mare non azzurro, ma violetto, e da ciò deriva l’ipotesi che essi non vedessero il raggio blu nella luce solare. E\ molto probabile che ai giorni nostri esistano altri casi di non percezione dei colori, differente a seconda dei diversi popoli”2.
Nella struttura personalissima dello spazio del quadro, Vittorio Matino subisce inconsapevolmente l’influenza del paesaggio veneziano per eccellenza, con le forme geometriche delle sue piazze quadrate, i ponti ad arco, i volumi imponenti dei suoi palazzi. Le masse architettoniche variopinte, intrecciate l’una all’altra in cadenze reiterate e sincopate, spezzano la monotonia esasperante dell’urbanistica moderna. E ̀ allo stesso tempo, le vibrazioni appena percettibili dell’aria, a Venezia, danno la sensazione di una fluidità , animata da una brez̀za vespertina, propria del litorale della laguna. Al crepuscolo, i bei palazzi patrizi appaiono ancora più enigmatici, irreali e abbandonati.
Attraverso l’uso del pennello, Vittorio Matino giunge a fondere elementi fra loro incompatibili: da una parte, accostando con rigore sul fondo dei suoi dipinti le forme geometriche quadrilatere, quadrati, rettangoli, parallelogrammi, e dall’altra una rete trasparente di colori cangianti, sovrapposti con pennellate multiple sulla superficie pittorica, che danno l’illusione di una leggerezza aerea e vibrante. Per
̀ definire i limiti di ogni diversa forma, Vittorio Matino la isola con striature parallele di tono molto più
sostenuto. A questo riguardo il quadro Vié del 1991 è molto indicativo, costruito com’è da rettangoli di diverse dimensioni, uniti lungo i lati, solcati da striature di colore più accentuato rispetto alla dominante generale dell’opera. Questa combinazione di sfumature contrastanti di colore accostate l’una all’altra crea fasce di separazione secondo linee verticali e orizzontali. Il ricorso alle sfumature era molto diffuso nel Rinascimento, come fa notare Michel Pastoureau: “Il fenomeno è da prima italiano e in particolare veneziano”3. Siamo ripetutamente colpiti dalla flagrante analogia esistente fra l’organizzazione degli
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queste autentiche origini imperiture: “Non è possibile tornare a ciò che, del passato, è troppo contingente
elementi sulla superficie pittorica propria delle opere dei maestri del Rinascimento e quella dei pittori
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astratti del XX secolo. Per esempio, le linee verticali di colore più denso che dividono la superficie del
quadro in parti giustapposte è un procedimento usato sistematicamente da Carpaccio: che si tratti di una torre maestosa, simbolo di ricchezza, successo e potenza, oppure dell’asta di uno stendardo, o di una colonna di trionfo, di un tronco d’albero, o della picca di un soldato. Quanto alle striature propriamente dette, esse sono molto frequenti sugli abiti dei personaggi del Veronese. Un altro tratto curioso è il posto
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impercettibile che occupa talvolta il soggetto più importante dell’opera. Cosı,̀ sulla tela di Pieter Brugel La
caduta di Icaro (1558), quasi non si avverte la presenza del corpo di Icaro, sballottato dalle acque nell’immensa distesa del mare. Il colore rosso scarlatto della manica del vestito del personaggio in primo piano domina ampiamente tutto il resto.
Allo stesso modo, guardando il pastello di Vittorio Matino Carré vert (1991), può accadere di non
distinguere il piccolissimo quadrato verde inserito fra i rettangoli di formato più grande. Quanto al suo
Kiev (1992), esso è a dominante rossa digradante come il colore di una fiamma che trema prima di ̀
spegnersi. Questo titolo ci fa già supporre, da solo, una connivenza con una certa forma, di ispirazione
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Jean-Claude Marcadé, родился в селе Moscardès (Lanas), agrégé de l'Université, docteur ès lettres, directeur de recherche émérite au Centre national de la recherche scientifique (C.N.R.S). , председатель общества "Les Amis d'Antoine Pevsner", куратор выставок в музеях (Pougny, 1992-1993 в Париже и Берлинe ; Le Symbolisme russe, 1999-2000 в Мадриде, Барселоне, Бордо; Malévitch в Париже, 2003 ; Русский Париж.1910-1960, 2003-2004, в Петербурге, Вуппертале, Бордо ; La Russie à l'avant-garde- 1900-1935 в Брюсселе, 2005-2006 ; Malévitch в Барселоне, Билбао, 2006 ; Ланской в Москве, Петербурге, 2006; Родченко в Барселоне (2008).
Автор книг : Malévitch (1990); L'Avant-garde russe. 1907-1927 (1995, 2007); Calder (1996); Eisenstein, Dessins secrets (1998); Anna Staritsky (2000) ; Творчество Н.С. Лескова (2006); Nicolas de Staël. Peintures et dessins (2009)
Malévitch, Kiev, Rodovid, 2013 (en ukrainien); Malévitch, Écrits, t. I, Paris, Allia,2015; Malévitch, Paris, Hazan, 2016
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