La radicalità di Malevič nell’arte russa di sinistra
La radicalità di Malevič nell’arte russa di sinistra
Jean-Claude Marcadé
Michail Bachtin, insigne storico e teorico della letteratura, che frequentò Malevič a Vitebsk fra il 1920 e il 1922, ci ha lasciato un ritratto fortemente elogiativo non solo di Malevič pensatore, ma anche dell’uomo:
Era totalmente disinteressato, totalmente. Non inseguiva il successo, la carriera, il denaro, gli agi – non aveva bisogno di niente di tutto ciò. Era, per così dire, un asceta, innamorato delle proprie idee. Era intimamente convinto di essere riuscito a penetrare in certe profondità dell’Universo e averle dischiuse, cosa mai riuscita a nessun altro.[i]
Kazimir Severinovič Malevič (Malewicz) nacque l’11 (23) febbraio 1879 presso Kiev, la capitale dell’Ucraina, in una famiglia polacco-ucraina di piccola nobiltà e fu battezzato nella chiesa cattolica della città. L’artista ha testimoniato nei suoi scritti autobiografici l’indelebile influsso esercitato su di lui dalla natura ucraina. L’arte naïf dei contadini che decoravano le khaty (le case rurali ucraine), i pyssanky (le uova colorate), al parei dell’icona, considerata come «la forma superiore dell’arte contadina»,[ii] saranno la sua prima accademia «selvaggia». Sino a diciassette anni vive in mezzo ai giovani contadini ucraini (legandosi d’amicizia imperitura al futuro grande rappresentante dell’avanguardia musicale, l’ucraino Mykola Roslavets).
Dal 1896 al 1905 il futuro pittore si trasferisce in Russia, a Kursk, città di provincia dove, con un gruppo di dilettanti, si dedica nelle ore libere a studi che, a suo dire, sviluppano un realismo ispirato ai dipinti di genere dell’ucraino Mykola Pymonenko (1862-1912), conosciuto durante un breve soggiorno a Kiev, e soprattutto di Il’ja Repin (1844-1930), l’artista di punta del movimento realista e impegnato degli Ambulanti, in direzione dell’impressionismo. Questo periodo di formazione, che si protrae sino al 1910, resta in massima parte oscuro.
Malevič è reciso: è l’impressionismo ad avergli insegnato che
l’essenza […] non era nel dipingere con precisione fenomeni o oggetti, nella pura fattura [ossia struttura] pittorica, nel puro rapporto di tutta la mia energia nei confronti dei fenomeni, nei confronti solo della loro qualità pittorica, da essi portati o contenuti. Tutta la mia attività era simile a quella di un tessitore che ordisce una sorprendente trama di stoffa.[iii]
Nel 1906, a esercitare l’influsso più marcato sull’artista è Monet, visto nella collezione Ščukin a Mosca, a proposito del quale ha riferito, in un testo avvincente, l’impressione ricevuta dalle due versioni della Cattedrale di Rouen, al mattino e alla sera, che vi si trovavano. Scrive Malevič che Monet tendeva a
far crescere la pittura che sorgeva sui muri della cattedrale. Non erano la luce e l’ombra che costituivano il suo obiettivo principale, ma la pittura che si trovava nell’ombra e nella luce.[iv]
L’influsso di Monet è particolarmente evidente nella Chiesa della collezione Costakis (Salonicco, Museo d’Arte Moderna)[v] o nei due Paesaggi del Museo Russo di San Pietroburgo.
Fino al 1910-1911 Malevič rimane debitore d’una ispirazione simbolista, mutuando le forme stilizzate e i temi letterari caratteristici degli artisti di “Mir iskusstva” (Il mondo dell’arte) di San Pietroburgo o del gruppo della Rosa Azzurra di Mosca. Figura a più riprese, tra il 1907 e il 1909, nelle esposizioni della Società degli artisti di Mosca, cui partecipano altre personalità dell’avanguardia, come Kandinskij, Larionov, David Burljuk e Morgunov.
Com’è noto, Malevič non ha mai esposto di nuovo, in vita sua, le proprie opere di stile simbolista o “moderno” (ricordo che in Russia si definisce “stile moderno” quello che altrove è noto come Art Nouveau, Jugendstil, Sezession o Modern Style) dopo la loro ultimo apparizione al Primo Salone moscovita nel 1911. Le aveva raggruppate allora in tre cicli: “Serie dei gialli”, “Serie dei bianchi”, “Serie dei rossi”, corrispondenti in sostanza a tre varianti stilistiche del simbolismo russo tra il 1900 e il 1910: un primo stile che combina l’estetica nabi, quella di Eugène Carrière, di Whistler, di Vrubel’ e di Borisov-Musatov;[vi] un secondo stile genuinamente “moderno”, caratteristico soprattutto del movimento pietroburghese di “Mir iskusstva”, e un terzo tra primitivismo e fauvismo.
La prima apparizione documentata di opere simboliste ebbe luogo alla XVI mostra della Società degli artisti di Mosca nel 1908. Si tratta delle tempere Il trionfo del Cielo e Preghiera (in mostra), entrambe al Museo Russo ed entrambe caratterizzate dalla tendenza alla monocromia gialla. Lo spirito mistico-esoterico le accosta ai pittori della Rosa Azzurra, attivi sulla scena artistica moscovita fra il 1904 e il 1907, benché la scelta del camaïeu giallo oro sia un’aperta sfida al quel movimento, un’esplicita presa di distanze. La scelta di quel colore è tutt’altro che casuale, come appare chiaro al Primo Salone moscovita del 1911, quando l’artista polacco-ucraino-russo mette il punto finale alla propria avventura simbolista, da cui d’altra parte si è già affrancato col concomitante invio di opere alla prima mostra del Fante di Quadri nel 1910-1911 a Mosca e a quella dell’Unione della Gioventù, tra aprile e maggio del 1911, a San Pietroburgo, dove si palesa un possente stile primitivista fauve. E al Primo Salone moscovita espone le serie gialle, bianche e rosse sopra ricordate.
Non si può mostrare in modo più chiaro che ciò che qui conta è il movimento del colore, scaturito certamente dall’impressionismo, ma modulato in strutture stilistiche diverse in ciascuna delle tre serie. Nella “Serie dei gialli” si tratta propriamente dello stile simbolista originale, dominante tra i pittori della Rosa Azzurra.
A partire dal 1910 si produce una mutazione. Malevič partecipa a Mosca alla prima mostra del Fante di Quadri, gruppo pittorico diviso fra il cézannismo di Pëtr Končalovskij, Il’ja Maškov e Aristarkh Lentulov e il neoprimitivismo di Michail Larionov e Natalja Gončarova che mirava a recuperare le fonti nazionali dell’arte popolare.[vii] Malevič lavora al tempo a grandi gouaches che palesano l’influsso della Gončarova, ma anche di Gauguin, Matisse, Picasso e Braque.
Malevič si pone sulla scia di Larionov e soprattutto di Natalija Gončarova, dalla quale mutua i larghi contorni e le campiture alla Gauguin, la robustezza delle linee, la ieraticità bizantina, in particolare nella fattura degli occhi. Li ha seguiti nella scissione dai cézannisti russi del Fante di Quadri nel 1911 e parteciperà con tutto se stesso all’avventura del neoprimitivismo.
Se Larionov ha avuto il ruolo di un detonatore, per Malevič come per tutti gli innovatori russi degli anni Dieci, è tuttavia Natalija Gončarova che pare avere realmente avuto il ruolo decisivo per fargli trovare la sua strada. Lo riconosce lui stesso, in queste parole riferite da Nikolaj Chardžiev:
Natalija Gončarova e io lavoravamo soprattutto sul piano della vita sociale. Ognuna delle nostre opere aveva un contenuto: i nostri personaggi, benché rappresentati in forme primitiviste, avevano un piano sociale. In questo consisteva il nostro disaccordo di principio col Fante di Quadri, la cui linea risaliva a Cézanne.[viii]
Le opere di Malevič erano talmente originali e diverse da quelle degli altri neoprimitivisti russi, una disparità che andò accentuandosi nella misura in cui la produzione di Malevič si arricchiva di nuove proposte plastiche, che la rottura col gruppo di Larionov ebbe luogo l’anno dopo, il 1913.
Sin dall’inizio l’arte progressista russa ha sintetizzato e combinato i principi del cubismo parigino (ricostruzione dello spazio pittorico a partire dalla decostruzione dell’oggetto, geometrizzazione degli elementi figurativi) con quelli del futurismo italiano (rappresentazione del movimento, tematica urbana e industriale, “metallizzazione” del colore), innestandoli su di una prassi formale e tematica neoprimitivista.
Il conio del termine “cubofuturismo” in pittura si deve a Malevič, il quale aveva visto bene che il principio dinamico era già presente in Cézanne e, dopo di lui, nelle tele precubiste di Braque e di Picasso. Ma, evidentemente, «l’ideale del futurismo riposa in Van Gogh che ha introdotto l’idea del Movimento Universale del Mondo».[ix] Non sorprende dunque che la “staticità” attribuita al cubismo sia spesso squassata da questo retaggio pittorico postimpressionista. Quel che si definisce cubofuturismo russo si è del pari espresso nella poesia, sia di Majakovskij e David Burljuk che dei “transmentali” (zaumniki) e “futuroslavi” (budetljane) – essenzialmente Chlebnikov e Kručënych.
Il cubismo analitico parigino del 1910-1912 fa la sua comparsa sulla scena dell’avanguardia russa sin dal 1913. Alcune opere di Malevič, come Guardia, Signora alla fermata del tramway, Strumento musicale e lampada, tutte allo Stedelijk Museum di Amsterdam, o ancora Riservista della I divisione, al Museum of Modern Art di New York, ne testimoniano l’influsso, ma l’elemento futurista si mostra nella compenetrazione tra mondo umano e mondo degli oggetti. È quel che proclamavano Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini sin dal 1910:
I nostri corpi entrano nei divani su cui ci sediamo, e i divani entrano in noi, così come il tram che passa entra nelle case, le quali alla loro volta si scaraventano sul tram e con esso si amalgamano.[x]
Le pittrici Nadežda Udal’cova, Ljubov’ Popova, Vera Pestel hanno frequentato gli studi cubisti parigini de La Palette presso Le Fauconnier e Metzinger. Le loro opere si mantengono del tutto all’interno dello spirito del cubismo parigino, quale era stato divulgato al Salon des Indépendants del 1911 e quindi dal libro Du “cubisme” di Gleizes e Metzinger, ponendo l’accento sulla decomposizione degli elementi figurativi in volumi geometrici e creando una nuova immagine pittorica non come la si vede, bensì come la si conosce, fatta di rapporti e contrasti, di sincopi, ma senza eliminare del tutto la leggibilità del soggetto.
Ljubov’ Popova si è imposta come una delle più grandi creatrici del XX secolo, sia per l’abbondanza e la qualità delle sue opere che per la varietà dei campi in cui ha spaziato: pittura, disegno, rilievo, allestimenti scenici, progettazione. Ljubov’ Popova crea tra il 1914 e il 1915 un insieme impressionante di tele cubofuturiste che recano il suo marchio inimitabile. Si tratta di nature morte che variano all’infinito le forme ondulate e multilineari di violini, chitarre e violoncelli, in cui il cubismo è scrollato da movimenti sismici che palesano la decisa introduzione dei principi plastici dei futuristi italiani nel sistema cubista di decomposizione degli oggetti. Caratteri latini o talvolta cirillici di grande formato sono elementi intrinseci della composizione. Nel capolavoro Ritratto di filosofo [in mostra], cubismo e futurismo si equivalgono, sono presenti a pari titolo.
L’anno 1913 è particolarmente fecondo. Malevič è legato ai poeti e intellettuali “futuraslavi” (budetljane) Velimir Chlebnikov e Aleksej Kručënych.[xi] La sua concezione dello spettacolo Vittoria sul Sole, opera di Matjušin con prologo di Chlebnikov su libretto di Kručënych, nel dicembre del 1913, segna una data importante nell’evoluzione delle arti del XX secolo. Si tratta, dal punto di vista scenico, del primo spettacolo cubista al mondo, nonché della prima opera teatrale pienamente futurista mai realizzata. Si tratta infine, per Malevič, della prima tappa verso il suprematismo. Nei bozzetti per Vittoria sul Sole fa la sua prima apparizione il “quadrato nero”, in particolare nel bozzetto del personaggio del Becchino, il cui corpo forma un quadrato.[xii] Da questo «embrione di tutte le possibilità»[xiii] nascerà nel 1915 il «Suprematismo della pittura». Nelle tele del 1913-1914, le superfici quadrangolari invadono lo spazio. Ma è l’“alogismo” che trionfa allora. “Alogismo” è un termine equivalente alla “transmentalità” (zaum’) sotto la quale Malevič aveva rubricato le proprie opere del 1912. In una lettera dell’inizio del 1913 a Michail Matjušin scrive:
Siamo giunti al rifiuto del senso e della logica della vecchia ragione, ma bisogna sforzarsi di conoscere il senso e la logica della nuova ragione che si è già manifestata, l’aldilà della ragione per così dire; per comparazione, siamo giunti alla transmentalità [zaumnost’]. […] Comincio a comprendere che in questo transmentale vi è anche una legge severa che giustifica il diritto all’esistenza dei quadri.[xiv]
Il trionfo dell’alogismo nella pittura di Malevič nel corso degli anni 1913-1914 si celebrerà con una serie di dipinti che si potrebbero definire “programmatici”. La pittura vi perde definitivamente il proprio statuto di rappresentazione del mondo sensibile grazie a un “gesto” che introduce l’assurdo: così in Vacca e violino del Museo Russo di San Pietroburgo una vacca viene a distruggere l’immagine del violino, oggetto figurativo per eccellenza del cubismo; un vero cucchiaio di legno era incollato in origine sul cappello dell’Inglese a Mosca dello Stedelijk Museum di Amsterdam, mettendo ironicamente a confronto l’oggetto materiale, utilitaristico, con la cosa dipinta; una riproduzione della Gioconda incollata alla tela è cancellata con due tratti in Composizione con la Gioconda del Museo Russo, riducendo questo eïdolon dell’espressione figurativa dell’arte della Rinascenza a merce di scambio (sotto l’immagine della Gioconda un ritaglio di giornale reca la scritta: «cedesi appartamento a Mosca»). Sulla tela è scritto col pennello: «Eclisse parziale», come già nell’Inglese a Mosca.
Con l’apparizione del Quadrangolo (Četyrechugol’nik) nero incorniciato di bianco all’“Ultima mostra futurista di quadri. 0.10” a Pietrogrado, negli ultimi giorni del 1915, l’eclisse degli oggetti è totale. Va sottolineato il modo in cui il Quadrangolo era esposto: era sospeso all’angolo superiore del muro, esattamente come l’icona centrale dell’“angolo rosso” o “angolo bello” (krasnyj ugol) nelle case ortodosse de la Rus’, soprattutto nel mondo contadino. Niente potrebbe esprimere meglio, esotericamente, il carattere iconico del «Suprematismo della pittura», il nome dato da Malevič alla sua iconostasi pittorica di “0.10”.
Per Malevič, che svilupperà la propria filosofia in numerosi scritti, il solo mondo vivente è il mondo in quanto senza-oggetto (mir kak bespredmetnost’). Affermando il primato della quinta dimensione (l’economia), definirà il suprematismo nei suoi diversi stadi, statico e dinamico, come una manifestazione puramente (economicamente) pittorica della natura in quanto physis, sito dell’essere, della vita, di quel Nulla che il pittore libera sulla tela. Poiché l’atto creativo non è mimetico, ma un «atto puro» che coglie l’eccitazione universale del mondo, il Ritmo, là dove scompaiono tutte le rappresentazioni figurative del tempo e dello spazio e non sussiste che l’eccitazione, questa «fiamma cosmica», «priva di data, di precisione, tempo, spazio, di stato assoluto e relativo».[xv] Avendo raggiunto lo zero col Quadrato nero, cioè il Nulla come «essenza delle diversità», il «mondo senza-oggetto », Malevič esplora, oltre lo zero, gli spazi del Nulla.
È la sensazione (oščuščenije) del solo mondo reale, il mondo senza-oggetto (bespredmetnyj mir), che brucia tutte le vestigia delle forme nei due poli del suprematismo, il Quadrato nero e il Quadrato bianco. Fra questi due poli si situa un insieme di quadri suprematisti dai colori vivi e contrastati. I colori non sono in questo caso equivalenti psicologici fissati artificialmente (culturalmente); Malevič si oppone a qualsiasi simbologia del colore (come quella di Kandinskij, per esempio). I segni minimali cui ricorre, che non sono mai esattamente geometrici, debbono fondersi nel «movimento colorato», dissolversi in esso. La superficie colorata è, in effetti, la sola «forma vivente reale»: ma poiché il colore «uccide il soggetto», ciò che alla fine conta nel dipinto è il movimento delle masse colorate.
Il colore è per Malevič un’energia che scaturisce dalla materia. Scrive nel 1920:
Essenziale nel suprematismo è il doppio fondamento – l’energia del nero e del bianco che serve a scoprire le forme dell’azione, intendo solo la necessità puramente utilitaristica di una riduzione economica, per la quale il colore perde forza.[xvi]
Malevič rifiuta la pittura “retinica”, ma non come il suo contemporaneo Duchamp, che mira a sostituire la pittura con produzioni scaturite da una decisione di tipo concettuale. In quanto russo-ucraino, Malevič è l’erede della pittura delle icone.
«Il quadrato è un vivo infante[xvii] reale. Il primo passo della creazione pura in arte».[xviii]
Tutta la poetica del colore di Malevič è elaborata a partire dalla sensazione:
«Conviene piuttosto parlare della corrispondenza della luce [colore] con la sensazione e non con la forma».[xix]
Le tele Quadrato nero, Cerchio nero, Croce nera sono le forme di base del suprematismo. Malevič le dipinse in vista della XIV Biennale, “Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia”, nel 1924. Furono inviate al padiglione dell’Unione Sovietica e figurarono in catalogo sotto i numeri 111 “Suprematismo: forma quadrata”; 112 “Suprematismo: forma di croce”; 113 “Suprematismo: forma rotonda”.[xx] Malevič aveva inviato anche cinque disegni di «suprematismo nell’architettura», nello specifico progetti di edifici nello spazio interplanetario (i planity).
Nessuno dei quadrati di Malevič è un quadrato perfettamente geometrico. Per l’edizione tedesca dei suoi testi (Die gegestandslose Welt) il pittore eseguì un Quadrato nero, disegnato a matita, sul quale scrisse in russo la dicitura:
Primo elemento suprematista d’aspetto quadrangolare, la cui equiangolarità non è strettamente geometrica. È nato nel 1913. Si tratta dell’elemento di base, dalla cui evoluzione sono nati due elementi di base, vale a dire il cerchio e l’elemento cruciforme.[xxi]
Malevič afferma innanzitutto la quadrangolarità come tale, contrapponendola alla triangolarità che, nel corso dei secoli, ha sempre rappresentato il divino. Nel 1920 scrive che, «occupato a penetrare il mistero dello spazio nero del quadrato», quello spazio nero «è divenuto la forma della nuova faccia del mondo suprematista, del suo costume e del suo spirito»:
Vedo in esso ciò che un tempo gli uomini vedevano nel volto di Dio, e tutta la natura ha impregnato la propria immagine nella sua apparenza, parimenti a quella dell’uomo; e se qualcuno, venuto dall’antichità canuta, avesse penetrato il volto misterioso del quadrato nero, forse vi avrebbe scorto ciò che io vedo in esso.[xxii]
Il secondo elemento di base del suprematismo è il Cerchio nero, ottenuto dalla rotazione del quadrato. Stando al disegno eseguito da Malevič per il suo libro del Bauhaus nel 1927, questo «secondo elemento del suprematismo» è un «elemento di base del suprematismo 1913».[xxiii] Il Cerchio nero rimanda alla metafora-metonimia dell’eclisse di sole che si verifica nelle opere “alogiche” del 1914, che precedono la creazione della trinità Quadrato-Cerchio-Croce.[xxiv] Il Cerchio nero, in tutti i lavori esistenti con questa forma, è in stato di levitazione, sta attraversando lo spazio bianco della tela per passare nell’aldilà infinito. Mentre il Quadrato nero e la Croce nera occupano una posizione centrale sulla tela, il Cerchio nero, nel suo movimento ascensionale, annuncia il medesimo movimento del Quadrato bianco del Museum of Modern Art di New York.
La Croce nera è, secondo il pittore nel disegno del 1927, «il terzo elemento di base, cruciforme, del suprematismo»[xxv] ed è, dopo il Cerchio nero, la seconda forma suprematista generata dal Quadrato. Come si è detto del Quadrato nero, si può notare che anche in questo caso non si tratta di perfetta geometria: una leggera curvatura degli assi dinamizza la staticità di quest’architettura cruciforme nello spazio bianco della tela. Come nel Quadrato e nel Cerchio, vi è nella Croce un equilibrio tensionale fra staticità e dinamismo. La Croce nera è al tempo stesso corpo mondano e volto, volto del mondo. È una forma primaria universale, ma non ci si può impedire di vedervi anche un’allusione al ruolo tenuto dalla croce nel mondo cristiano. Nel manoscritto del 1927 dedicato alle «diverse fasi di sviluppo del suprematismo», il pittore mostra mediante una serie di schizzi «lo sviluppo dall’elemento cruciforme di sensazioni cosmiche, mistiche».[xxvi]
Nel 1923-1924, in vista dell’esposizione dei suoi tre dipinti “di base” a Venezia, Malevič aveva richiesto che la sequenza fosse, in verticale, Quadrato nero–Croce nera–Cerchio nero. A partire dall’estensione del quadrato, in un piano orizzontale e in un piano verticale che s’intersecano perpendicolarmente, nasce la Croce nera, che genera, per rotazione, il Cerchio nero.[xxvii] Il cerchio nero diviene allora l’esito finale del movimento dell’Universo, del “pensiero cosmico”.
***
Durante un decennio, dal 1916 al 1926, Malevič è uno dei protagonisti dell’arte di sinistra russa. Partecipa a dibattiti, polemizza con passatisti come Aleksandr Benois e, dopo le rivoluzioni del 1917, coi costruttivisti-produzionisti,[xxviii] anima gruppi suprematisti a Pietrogrado e a Mosca (1916-1918), a Vitebsk (1919-1922), a Pietrogrado-Leningrado (1922-1927), elargisce il proprio insegnamento senza risparmiarsi e crea un’architettura utopica (architektona, planity e via dicendo).[xxix] Scrive molto: pamphlet, manifesti sulla rivista moscovita “Anarchija” nel 1928, prese di posizione; ma soprattutto, elabora con accanimento testi teorici e filosofici dei quali solo la minima parte vedrà pubblicata in vita, testi che non sono compresi dai contemporanei e scatenano al tempo stesso bufere d’indignazione fra gli avversari marxisti-leninisti del suprematismo.[xxx]
Il testo di Malevič Dio non è detronizzato. L’Arte. La Chiesa. La Fabbrica (Vitebsk, 1922) è l’ultima brochure uscita mentre il fondatore del suprematismo era ancora in vita. Si tratta, in effetti, di una parte dell’opus magnum dell’artista, Suprematismo. Il mondo in quanto senza-oggetto o il riposo eterno, dedicato all’illustre storico della letteratura e pensatore Michail Osipovič Geršenzon. Il testo filosofico è oggi accessibile in francese grazie a Gérard Conio.[xxxi] Si tratta i uno dei testi filosofici più alti del XX secolo. Malevič, che non aveva alcuna formazione scolastica, universitaria e intellettuale organica, grazie soltanto all’acume del suo genio ha saputo, a partire da nozioni carpite qua e là (il Tertium Organum del teosofo Pëtr Uspenskij, del 1911, in particolare, gli ha fornito probabilmente un’antologia delle idee venute dalla Grecia, dall’India o dall’Estremo Oriente), formarsi un pensiero complesso, orientato all’interrogazione dell’essere, in cerca di una nuova figura di Dio e di una nuova spiritualità.[xxxii] Michail Bachtin ha ben colto tutta l’originalità del pensiero di Malevič:
… sapeva esprimere bene e in maniera convincente le proprie idee ed era un pensatore originale, malgrado non avesse la minima formazione universitaria. Aveva una formazione artistica, certo, ma non formazione universitaria… Era un uomo di enorme erudizione e di grande sapere…[xxxiii]
Fa d’uopo adesso citare un ampio brano della lettera scritta da Malevič a Michail Geršenzon l’11 aprile 1920, ovvero nel momento esatto in cui inizia la sua grande opera filosofica. La lettera conferma, se ce ne fosse bisogno, il fondamentale antimaterialismo del pittore e la sua ambizione di fare del suprematismo pittorico e filosofico una nuova religione dello spirito, chiamata a succedere a tutte le religioni, una «religione dell’atto puro»:
Non considero più il Suprematismo in quanto pittore, o come forma che avrei fatto uscire dall’oscurità del mio cranio, mi pongo dinanzi a esso come qualcuno che contempla esteriormente un fenomeno. Per parecchi anni sono stato occupato dal mio movimento nei colori lasciando da parte la religione dello spirito; trascorsi venticinque anni, adesso sono tornato, o meglio, sono entrato nel Mondo religioso; non so perché ciò sia accaduto. Frequento le chiese, guardo i santi e tutto il mondo spirituale in azione ed ecco che vedo in me, e forse nel mondo intero, che è giunto il momento del mutamento delle religioni. Ho visto che nello stesso modo in cui la pittura è andata verso la forma pura dell’atto, il Mondo delle religioni va verso la religione dell’Atto Puro; tutti i santi e i profeti furono stimolati proprio da quest’atto, ma essi non poterono portarlo a compimento, poiché si frapponeva la barriera della ragione che vede in ogni cosa finalità e senso, e tutto l’atto del Mondo religioso si è infranto sulle due pareti dalla palizzata razionale.[xxxiv]
Il 22 maggio 1923 Malevič pubblica il proprio credo in forma di un manifesto che consta di otto enunciati, Lo specchio suprematista [Suprematičeskoe zerkalo], in cui ancora una volta fonda la propria arte su una filosofia del Nulla:
Il mondo come distinzioni umane […] = 0 […]. L’essenza delle distinzioni. Il mondo come senza-oggetto.[xxxv]
Nominato il 15 agosto 1923 direttore del Museo di cultura pittorica di Pietrogrado, Malevič è incaricato di riorganizzarlo. L’istituzione, creata nel 1921, che raccoglieva 257 opere di 69 artisti in rappresentanza di tutte le correnti «dall’impressionismo al cubismo dinamico», costituiva nei fatti, insieme all’omologo museo moscovita, il primo “museo d’arte moderna” del mondo. Malevič decide di ampliarne le attività e lo trasforma a tale scopo in Istituto statale di cultura artistica (Ginchuk), riservandosi la direzione della sezione “Ricerche formali e teoriche”, mentre le sezioni “Cultura organica” e Cultura materiale” sono assegnate a Matjušin e Tatlin, la “Sezione sperimentale” a Pavel Mansurov, l’“Ideologia generale” prima a Pavel Filonov, poi a Nikolaj Punin.
Nel 1927 l’artista è autorizzato a recarsi a Varsavia e poi a Berlino, dove si tiene una retrospettiva della sua opera nell’ambito della “Grosse Berliner Kunstausstellung”, tra il 7 maggio e il 20 settembre. Conosce Schwitters, Arp, Moholy-Nagy e, su invito di Walter Gropius, visita il Bauhaus a Dessau. Una raccolta di suoi scritti esce alla fine dell’anno nella collana dei “Bauhausbücher” col titolo Die gegenstandslose Welt. Avvertendo che la situazione dell’avanguardia in Unione Sovietica si fa precaria, lascia i propri dipinti e un’importante selezione di manoscritti inediti ad amici tedeschi. Il 30 maggio redige un testamento olografo concernente i propri scritti:
Nel caso di mia morte o d’imprigionamento definitivo, e nel caso in cui il depositario di questi scritti desiderasse divulgarli, occorrerà studiarli a fondo, dopodiché pubblicarli in altra lingua; in effetti, poiché sono stato a suo tempo oggetto d’influssi rivoluzionari, vi si potrebbero trovare forti contraddizioni col mio modo di difendere l’arte d’oggi, vale a dire nel 1927. Queste disposizioni debbono essere considerate come le sole valide. K. Malevič, 30 maggio 1927. Berlino.
Al ritorno in URSS è sottoposto a interrogatori e viene persino arrestato.[xxxvi] Fra il 1928 e il 1934 Malevič si dedica di nuovo intensamente alla pittura: in questi sei anni produce più di cento dipinti. Il ritorno alla pittura da cavalletto, da lui abbandonata in pratica dal 1919 al 1927 a vantaggio del lavoro pedagogico, della creazione di un’«architettura artistica» (gli arkhitektony) e della formulazione della propria filosofia, resta ancora in gran parte enigmatico. Vi è qualcosa d’impressionante nella serie di quei “volti senza volto” con vivaci bande di colore, la cui gamma russo-ucraina ricorda quella della tavola pasquale ortodossa, in quei paesaggi campestri ove terra e cielo danno vita a un avvincente contrasto pittorico, in quei contadini dalle pose ieratiche, attraversati da quella non-oggettività, quel non-essere universale che il suprematismo aveva rivelato in modo così energico fra il 1915 e il 1920. Malevič dimostra in essi di non aver rinnegato il suprematismo. Il postsuprematismo ci mette a confronto con uno spazio iconico dove tutto è trapassato dal colore, elemento rivelatore della vera dimensione, della vera misura delle cose. Il colore è puro, rigoroso, laconico. La parentela con la pittura delle icone è più nitida che nelle opere antecedenti il 1914. Certe sue Teste di contadino si fondano su di una struttura di base mutuata dalle icone del Santo Volto (il Cristo Acheiropoietos, “che non è stato fatto da mano d’uomo”) o del Pantocrator.[xxxvii]
Il ritorno alla figura dopo il 1927 è dunque una sintesi dove il senza-oggetto viene ad penetrare uomini raffigurati in posture di eternità. Salta agli occhi il ruolo del mondo contadino che, di nuovo, invade tutto l’universo di Malevič. Come se il pittore, da sempre anticostruttivista, avesse previsto le conseguenze perverse dell’ideologia costruttivista, ovvero l’ottimismo utopico per cui l’uomo sarebbe pervenuto a dominare la natura grazie al progresso tecnico. Per Malevič, l’uomo è la natura. Non può vincerla.[xxxviii] La nuova natura che Malevič annuncia nelle tele postsuprematiste prende di nuovo la forma incarnata del mondo contadino che il pensiero costruttivista tendeva a considerare reazionario. Beninteso, la sua difesa dalla campagna non è la difesa di una situazione sociopolitica e di una classe sociale in quanto tale. La campagna è il luogo in cui la natura, in quanto physis, in quanto sito del dischiudersi del mondo, del senza-oggetto, del riposo eterno, meglio può venire alla luce. Al tempo stesso, Malevič mostra nel modo silenzioso del pittorico la situazione tragica delle popolazioni contadine russe e ucraine, devastate dalla politica staliniana di dekulakizzazione (la lotta contro i possessori di grandi fattorie con dipendenti), che vedrà l’orrore del genocidio per fame, l’Holodomor, che miete milioni di vittime in Ucraina fra il 1932 e il 1933.[xxxix]
L’opera forse più stupefacente, e più commovente, marcata dal segno del tragico, è l’Autoritratto del 1933 del Museo Russo. La struttura di base di questo dipinto è l’archetipo iconografico della Madre di Dio Odigitria, ossia la Theotokos che col gesto della mano accenna al Figlio, alla Via; è l’Odigitria, colei che mostra il Cammino, la Via. Non vi è qui alcuna ironia futurista, cosa cui l’artista era peraltro più che incline. Solo quell’humour accigliato che ne caratterizza tutta l’opera. Si è naturalmente identificato con Colui che indica la Via, o per meglio dire si è appropriato di quel modello metaforico: e come impedirsi di pensare che la Via, il Cammino che Malevič addita, e che non è evidentemente raffigurato, sia il mondo senza-oggetto al quale si è consacrato, simboleggiato da un quadrato nero dentro un quadrato, firma di varie opere di questo periodo? L’angolo del pollice rispetto alle altre dita suggerisce il profilo di un quadrato. La struttura è geometrica (i triangoli bianchi del colletto e neri dell’indumento superiore contrastano col ritmo delle righe verdi). L’alternanza di rosso e verde è una costante della gamma di Malevič.
Malevič si è raffigurato come un uomo del Rinascimento, un Riformatore. La tragicità e la grandezza di questo autoritratto provengono da quel gesto che designa l’Assenza. In questa immagine che Malevič ci ha lasciato alla fine della propria esistenza si riassume tutto ciò che egli era consapevole di aver conferito alla storia della pittura, con un sentimento più acuto dell’incomprensione, della solitudine, dell’emarginazione, nonché il sentimento che l’uomo è ridotto a un gesto.
Questo pensiero dell’Assenza è il pensiero del suprematismo che riconosce il mondo vuoto, senza oggetti, come manifestazione della vera realtà. Nel postsuprematismo, è l’assenza dell’autentica realtà che emerge in un’espressione disperatamente tragica. La vera realtà è indicata ma, ormai, essa sfugge all’uomo.
Il 15 maggio 1935 l’artista moriva di cancro a Leningrado.
Giugno-luglio 2015
Documenti di Malevič per l’allestimento delle opere inviate alla Biennale di Venezia nel 1924
(Fonte: RGALI – Rossijskij gosudarstvennyj archiv literatury i iskusstva / Archivi statali d’arte e letteratura di Russia, Mosca)
[ Cf. Vivian Endicott Barnett, « The Russian Presence in the 1924 Venice Biennale », in The Great Utopia : the Russian and Soviet Avant-Garde, 1915-1932, New York, Guggenheim Museum, 1992, p. 466-473; P. Vérité, Sur la mise en place du système architectural de Malevič, in “Revue des Études Slaves”, LXXII/1-2, 2000, pp. 191-212.°
[Intestazione del Comitato della Sezione russa (in russo e in francese), lettera autografa di Malevič]:
Al Comitato organizzatore dell’esposizione di Venezia
Con la presente, dichiaro d’aver concesso le mie opere per la mostra veneziana nella convinzione che, in quanto invitato, ritenevo che le mie opere non sarebbero state sottoposte a una giuria; ora, poiché adesso la cosa non appare certa, in ragione di ciò invio i miei lavori soltanto alla condizione che non siano sottoposti a una giuria né a considerazioni tipo «c’è poco spazio nell’esposizione» o simili. Se la mia proposta è condivisa dal Comitato, chiedo di lasciare le opere [sul posto], altrimenti chiedo di restituirle immediatamente per una mostra imminente a Leningrado.
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Malevič
24 aprile 24
Avvertenza di K.S. Malevič
Con la presente, informo il Comitato [della Sezione russa] del mio accordo a partecipare alla XIV mostra internazionale a Venezia, a condizione che tutti i lavori da me indicati per l’esposizione siano esposti in un solo ambiente senza essere divisi secondo le categorie – pittura e disegno
Informazioni per il catalogo
Suprematismo (La concezione del mondo non-oggettivo)
1) Il Quadrato – 1 aršin e mezzo [106×106 cm]
2) L’incrocio cruciforme di due superfici piane – 1 aršin e mezzo [106×106 cm]
3) Il Cerchio – 1 aršin e mezzo [106×106 cm]
Suprematismo in architettura
[a lato, una graffa] Superficie totale 1 aršin e mezzo [106×106 cm]
1) Edificazione dinamica delle superfici piane / Forma di un aeroplano futuro
2) Elemento architettonico dinamico – forma “aF”
3) Vista generale della forma “aF” nel progetto “Il teatro del movimento” (il cinematografo)
4) Idem – Teatro dinamico
[a lato, una graffa che unisce il “Suprematismo” e il “Suprematismo in architettura”] Un solo tutto
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Malevič
[Aggiunta di mano di Malevič]
P.S. I lavori debbono essere commissionati ed effettuati a spese del Comitato
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Malevič (vedere il progetto sul retro)
Progetto di allestimento
Quadrato 1
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2
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3